il secondo miracolo

2 Aprile 2020

Se ci pensate, alla fine è andata più che bene. Potevamo nascere talpe. Avere un naso ricoperto di organi di Eimer per capire subito in quali affari infilarsi e vivere sottoterra per soddisfare un’inspiegabile voglia di lombrichi.

Oppure venire al mondo in fondo agli abissi, dalle uova di un melanoceto. Avere un illicio provvisto di fotofori piazzato proprio sulla fronte e vagare nelle oscurità dei mari aspettando che qualche forma di vita lo scambi per un addobbo natalizio. E poi sbranarlo. Non so se avete presente. Lo chiamano il Diavolo nero.

O magari ritrovarci nelle penne di un’oca indiana, mentre come ogni anno sorvola l’Himalaya per andare a passare l’inverno in Birmania o in Pakistan. E ogni volta provare l’ebbrezza dell’ipossia a 7 mila metri d’altezza. Senza sedili riscaldati o copertine di pile. Spiacente, la prima classe non è prevista dal tuo codice genetico. Il servizio economy prevede chiappe al freddo per il resto della vita.

E invece no. Siamo stati partoriti – con dolore, è vero – esattamente a metà strada. Non troppo in fondo. Non troppo in alto. Esattamente dove in genere piazzi la crema quando prepari una torta. In mezzo. Lo penso ogni volta che mi fermo a guardare il cielo.

Come ogni altro esemplare della mia specie, nei miei primi anni di vita, passavo il tempo a contemplarlo. Mi interessavano le nuvole, ovviamente. Ma non ci vedevo angeli, coniglietti o farfalline. Le forme di vita proiettate dalla mia immaginazione erano un po’ più stravaganti. Guarda, un melanoceto. Era il mio pesce preferito, anche se qualcosa mi diceva che non l’avrei mai trovato alla bancarella dei pesci durante la festa del paese.

Una fervida immaginazione. Devi averne per realizzare cosa sia successo a Lanciano. Parecchio tempo fa. No, non ci sono le terme a Lanciano. Quella è Chianciano, in Toscana. Qui si viene soprattutto per uno tanti miracoli eucaristici avvenuti in Italia. Forse il più antico. A Lanciano, però, ne sono accaduti due di miracoli. E io mi riferisco proprio al secondo. Quello meno noto. È il 1273 e una donna decide di mettere un’ostia consacrata in un coppo, sul fuoco. Vuole darla al marito, di nascosto, per riconquistarlo. Ma l’ostia si trasforma in carne. È per questo che i lancianesi vengono chiamati frija crist. Anche se conosciuto come il miracolo di Offida, nelle Marche, è accaduto qui. In Abruzzo.

Primo a poi, lo chiedono tutti. Un miracolo. Ma se guardate bene, ci siamo capitati proprio in mezzo. Ve l’avevo detto che siamo andati bene. Il più delle volte, però, non ce ne accorgiamo. Abbiamo dovuto buttarla nel fuoco, questa nostra terra. Far grondare il sangue. E ora, che abbiamo solo la sua reliquia, non ci resta altro che trattarla come tale. Conservarla e venerarla.

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